The Art Of Magic - La Profezia a capitoli

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  1. jojovi
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    Salve a tutti,
    ho deciso, visto lo scarso interesse per uno scrittore sconosciuto come lo sono io, di regalarvi l mio racconto Fatasy a puntate/capitoli con scadenza di tre o quattro giorni.
    Spero che vi appassioni come ha appassionato me scrivendolo.

    The Art Of Magic-La Profezia: Prologo
    Di Giorgio Lotto
    Prologo

    Il vecchio mago Antium ansimava e si portava avanti a fati-ca. Aveva avuto uno scontro con il suo nemico di sempre Ar-nes, un mago potente e malvagio. Prima di essere ferito all’addome era riuscito a scagliare sul mago una magia poten-tissima, una sorte di maledizione, che lo aveva paralizzato e teletrasportato in un limbo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Antium, appena entrato nella caverna vicino alle foci delle cascate del fiume Iutha, sigillò l’entrata con una magia di piante rampicanti che si mischiarono alla vegetazione già esistente, così da rendere invisibile agli occhi l’entrata stessa.
    Ormai allo stremo delle forze, il vecchio arrivò alla grotta principale dove si trovava un forziere pieno di tesori, pietre preziose, corone e boccali d’oro. Il forziere era stato trafugato dalla “Torre dei Maghi” e portato qui da una setta di Maghi cui facevano parte Arnes e Antium, unici sopravvissuti.
    A guardia del forziere c’erano due Cerberi, cani infernali a tre teste, evocati anni prima dalla setta e fedeli ai loro padroni. Il forziere si trovava in fondo alla grotta, da cui entrava la luce filtrata dalla cascata; solo un mago della setta poteva aprirlo, poiché sigillato da un potente incantesimo.
    Antium con una magia aprì il forziere, a fatica sollevò il co-perchio e vi depositò una spada. Era la “Spada della Sottomis-sione”, colui che l’impugnava diveniva più forte e agile ma anche profondamente malvagio.
    Il povero Antium fece appena in tempo a chiudere e sigillare con la magia il forziere quando si accasciò stremato vicino ad esso. La ferita era talmente grave che sentiva ormai giunta la sua ora, fu in quel momento che vide passargli davanti tutta la sua esistenza, costituita da scelte buone e meno buone. Da un po’era pentito di aver fatto parte di quella setta, nata a fini benevoli e con l’intento di ampliare la conoscenza magica ma poi trasformatosi in una setta malvagia che praticava la magia oscura, questo grazie soprattutto ad Arnes e alla sua sete di potere. Pensò alla moglie, l’unica donna che avesse mai amato, ma anche la donna che lo aveva abbandonato molti anni orsono portandosi con sé la figlia ancora in fasce. Se solo avesse potuto fermarla, farla ragionare, farle capire quanto la vita che le offriva fosse umile ma piena di speranza per un futuro migliore. Ma lei cercava di più, ricchezza, fama, così una notte prese la bambina e se ne andò. Fu in quel periodo che Antium, disperato, si unì alla setta di Maghi.
    La sua mente cominciò ad offuscarsi, non sentiva più gli arti, il respiro era sempre più affannoso. Dopo qualche istante spirò lì, accanto al forziere. Morì con il sorriso tra le labbra, felice però di aver nascosto al mondo una spada così potente e di aver neutralizzato il mago Arnes. I due Cerberi gli si avvicinarono, quasi a salutarlo e rassicurarlo che avrebbero protetto il forziere per sempre.
    Intanto più a valle il discepolo di Arnes, un certo Xan , ancora ragazzino aveva trovato il corpo del suo padrone. Era sconvolto, non capiva perché il maestro non si svegliasse, non sembrava morto, anzi tastandogli il polso sentiva il cuore battere, ma non apriva gli occhi, era come paralizzato.
    Xan giurò a se stesso che si sarebbe preso cura di lui anche a costo della propria vita.
    Fine prologo, vi aspetto fra qualche giorno per il 1° capitolo.
    tesoro-pirata
     
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  2. danasan94
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    Storia interessante. Non ti devi abbattere che all'inizio sono tutti sconosciuti :patpat: :patpat: :telappoggio:
     
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  3. jojovi
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    The Art Of Magic La Profezia
    CAPITOLO I
    La Fortezza dei Goblin

    Cinque anni dopo molto più a est.
    Era una campagna florida e fiorente quella a est di Ronwood, si alternavano campi di girasole, di granoturco e prati fioriti.
    Vicino al ruscello si ergeva la fattoria di Elen, una donna umile, assai affascinante. Sua figlia Sheila, di sedici anni, si stava esercitando nel combattimento con i bastoni assieme all’amico di sempre, Eliot. La ragazza era bella quanto la ma-dre, occhi verdi e capelli castani sempre tenuti con la coda. Anche se sorridente e spensierata, si vedeva lontano un miglio che quella vita contadina le stava stretta.
    La madre aveva raccontato a Sheila che suo padre era un guerriero e che era morto da eroe per difendere la città di Greenwood, la capitale del Regno. Aveva combattuto a fianco del re nella guerra contro gli orchi. Quindici anni erano ormai passati ma la ragazza voleva seguire le sue orme; se mai Greenwood avesse avuto bisogno di un guerriero, la spada che impugnava con fierezza ed eleganza sarebbe stata a disposizione.
    «Tutto qua quello che sai fare? Sei un po' lento e goffo mio caro Eliot!» disse Sheila e indietreggiando per schivare un colpo, andò addosso alla madre che stava uscendo di casa.
    «Non puoi fare le cose che fanno le ragazze della tua età, come ricamare? » le disse la madre un po’contrariata.
    «Quelle sono cose da femminucce deboli e noiose» ribatté Sheila rivelando il suo carattere sicuro e caparbio.
    La madre la guardò sconsolata procedendo verso il ruscello per prendere l'acqua e sorridendo aggiunse «Ricordati di prepararti con cura per la festa del raccolto che si terrà stasera in città!»
    «Io non ci andrò» disse Sheila, sottovoce e con aria infastidita a Eliot, mentre la madre già si intravedeva a malapena perché nascosta dalla rigogliosa vegetazione.
    I due ragazzi erano amici fin dall’infanzia. Eliot stravedeva per Sheila a tal punto che faceva esattamente ogni cosa lei gli chiedesse. Un po’ tardo di mente, era di animo sincero. I suoi genitori erano morti anni prima, la madre dopo averlo dato alla luce, il padre alcolizzato quando lui aveva appena nove anni. La nonna si era presa amorevolmente cura di lui e l’aveva cresciuto.
    Elen raggiunse il torrente canticchiando mentre due figure strane le si avvicinarono strisciando lentamente, nascoste dagli alberi. Per un attimo alla donna sembrò di udire un rumore, forse un fruscio e si voltò di scatto verso il campo di girasoli, ma subito pensò di essersi sbagliata e continuò nelle sue faccende.
    Terminato di attingere l’acqua, si alzò dirigendosi verso ca-sa, ma all'improvviso si trovò di fronte due Goblin, esseri maligni, oltreché sporchi e ripugnanti, con una pelle dal colorito verdastro e due orecchie lunghe e appuntite.
    Quello più anziano si installò davanti a lei e, affascinato dalla sua bellezza, chiese al più giovane se aveva voglia di divertirsi un po’, iniziando a tirarle i vestiti e facendole cadere a terra i secchi colmi d’acqua fresca.
    Elen era impaurita e chiese loro chi fossero e cosa volessero, essi risposero ridacchiando che avevano fame e per quel giorno si sarebbero accontentati di carne umana. Poco dopo, le erano addosso estraendo la piccola spada arrugginita dal fodero, fatto con pelle di cinghiale.
    La donna cercava inutilmente di liberarsi dalla stretta di quei mostri gridando aiuto a squarciagola; Sheila la sentì, interruppe gli allenamenti con il bastone e si precipitò, assieme ad Eliot, verso il luogo da dove sentiva provenire le urla.
    Intanto sempre più infuriato il Goblin, perse il controllo della situazione e le affondò la lama nell'addome. Elen cessò all’istante di dimenarsi iniziando ad emettere solo impercettibili suoni. Il Goblin, incredulo di quanto aveva compiuto in modo così agghiacciante, ancora tremolante cercò di riprendere fiato e invitò il compagno più giovane a rovistare nelle tasche della donna. Non sapevano esattamente cosa cercare, ma volevano dare un senso a tale sacrificio.
    Fu in tale momento che apparve Sheila all’improvviso, con quella sua aria di sfida e il bastone in mano. Accortasi di quanto accaduto, il sangue le scorse nelle vene più acceso che mai e si preparò allo scontro.
    Era sconvolta, si trovava di fronte due esseri orribili che credeva esistessero solo nelle fiabe, decisa però a vendicare la madre, si sentiva forte e invincibile, come un guerriero.
    I mostri, osservandola così giovane cominciarono a prendersi beffe di lei facendo roteare la spada insanguinata sotto i raggi del sole, Sheila, con gli occhi velati di lacrime ma rossi di furore si gettò repentinamente all’attacco.
    Il Goblin più anziano, non molto abile con la spada, sferrò un primo affondo, la ragazza, avvantaggiata dalla lunghezza del bastone, lo colpì in pieno volto facendolo stramazzare a terra; poi si voltò verso l'altro che impaurito da tanta ferocia le lanciò addosso il corpo della madre, fuggendo tra i campi di frumento.
    Sheila impallidì, lasciò cadere il bastone per afferrarlo e adagiandolo sulle sue gambe lo strinse fra le sue braccia con amore. In quel momento la raggiunse Eliot ed ella, in lacrime, voltandosi verso l'amico lo intimò di seguire l’altro Goblin, indicando la direzione con la mano.
    La madre aprì gli occhi per pochi istanti, guardò la figlia e con un filo di voce le disse «Sheila, tesoro mio mia, ormai sei una donna, ascolta bene !»
    «No madre! » rispose la ragazza continuando a singhiozzare disperatamente « non ti sforzare, adesso cerco aiuto….» Ma Elen la interruppe di nuovo e sempre più debole riprese «Me ne sto andando per sempre e sento di doverti dire finalmente la verità, tuo padre non era un eroe, abbiamo fatto insieme una cosa davvero malefica! Corri veloce, prendi il medaglione d’oro che trovi nel baule sotto il mio letto, portalo al mausoleo dei sospiri e libera la ragazza. Abbi cura di te, figlia mia». Queste furono le ultime parole mentre Sheila la osservava sempre più smarrita e attonita.
    I pensieri cominciarono vorticosamente a fluire nella sua mente. « Liberare chi?», proprio non capiva, le sembrava di vivere un sogno orribile, tutto era accaduto troppo all’improvviso, distruggendole la vita.
    Il silenzio cupo poi pervase la campagna, uno stormo di uc-celli prese il volo simultaneamente, quasi ad accompagnare l’anima della donna verso quel cielo, oscuratosi all’improvviso.
    Elen morì proprio a mezzogiorno, si udirono infatti, in quel mentre, i dodici rintocchi del campanile della chiesa di Ron-wood, uno alla volta echeggiarono nel cuore della ragazza, portandosi via una parte di lei, la giovinezza, la spensieratezza, il mondo incantato di prima, la persona più importante della sua vita.
    Un leggero movimento la fece tornare in un batter d’occhio all’atroce realtà e si accorse che il Goblin, disteso poco più di-stante, ancora esalava deboli respiri. Sì alzò veloce come una gazzella e brandendo la stessa spada, incurante dei suoi occhi che imploravano pietà, con un colpo secco gli tagliò il capo di netto. Poi il nulla, entrò in uno stato confusionario e lentamente, inciampando più volte nell’erba alta, tornò verso casa in cerca dell'amuleto nel baule.
    Lo trovò nel fondo, nascosto fra mille cose ormai dimenticate, aveva un simbolo disegnato su un lato, sull’altro era raffigurata una scacchiera.
    Quando la raggiunse l’amico, al quale il Goblin era sfuggito, seppellì assieme a lui la madre, si inginocchiò davanti alla tomba e guardandosi le mani ancora sporche di sangue, con voce tremolante ma piena di rabbia le promise vendetta. In cuor suo era decisa a cercare il mausoleo, liberare la ragazza chiunque ella fosse e a dare un significato alle parole bisbigliate dalla madre. Chi fosse davvero non lo comprendeva più.
    Quindi si alzò, si ripulì le mani insanguinate sulla maglia e intimò a Eliot di prepararsi perché l’indomani sarebbero partiti alle prime luci dell’alba, in quel luogo non c’era più nulla da fare per loro.
    E così fecero, quando il cielo cominciava a tingersi di un rosa pallido, s’incamminarono, lasciandosi la campagna alle spalle, per sempre. La prima tappa fu Ronwood, dove vendettero le abitazioni e i pochi ettari di terreno che possedevano, poi si fermarono all'emporio di Xen, per alcune provviste. Era un negozietto fornito un po’ di tutto nel quale veniva qualche volta con la madre, era strano quel giorno trovarsi lì così sola. Ricordava e rifletteva su cose che le sembravano ormai infinitamente distanti, quando entrarono due soldati della guarnigione che attirarono la sua attenzione, non se ne vedevano molti da quelle parti.
    Il negoziante, un uomo anziano, piccolo e tarchiato, le spiegò che cercavano volontari per assaltare la fortezza dei Goblin, esseri spregevoli che avevano saccheggiato abitazioni, ucciso bestiame e persone senza alcuna pietà.
    Fu in quel momento, mentre ascoltava silenziosa che Sheila capì che il suo momento era davvero arrivato, avrebbe potuto finalmente vendicare la madre e dimostrare la sua abilità nel combattimento. Si illuminò e decise di avvicinarsi alle guardie per chiedere di arruolarsi.
    «Ho sentito che reclutate dei guerrieri per attaccare la fortezza dei Goblin, se è così avete di fronte a voi due volontari, io e il mio amico Eliot» disse indicandolo.
    Le guardie dapprima la guardarono stupiti poi scoppiarono in una fragorosa risata.
    «AHH !!! AHH!! Chi voi due ?? Una ragazzina e il suo amico ciccione. Avete sentito gente vogliono venire con noi a combattere i Goblin, senza rendersi conto del pericolo» disse una guardia girandole di nuovo la schiena per prendere un boccale, colmo di birra.
    Sheila, si indignò, estrasse il bastone e con la velocità di un lampo afferrò il boccale prima che la guardia potesse avvici-narlo alla bocca, senza nemmeno far cadere il contenuto. «Al-lora sono veloce?» disse sorridendo soddisfatta « Ditemi cosa devo fare per arruolarmi?»
    La guardia incollerita e offesa estrasse la spada per punire la ragazza, quando entrò nell'emporio il Capitano Gerald. Egli si guardò intorno per una attimo, poi fissò le sue guardie con fare interrogatorio intimando di riporre la spada.
    «La ragazzina stava facendo la sbruffona! Vorrebbe parteci-pare all'assalto di domani, non è assurdo?» gli rispose la guar-dia mentre si chinava a raccogliere l’arma.
    Il capitano Gerald era un veterano delle guardie del re, uomo molto stimato e di gran fama da tempo. Aveva combattuto nella guerra contro gli orchi ancora giovanissimo, ora anche se aveva i capelli brizzolati se la cavava ancora bene con la spada.
    «Così vorresti combattere al nostro fianco, lo sai che potre-sti morire?» le disse, osservandola con attenzione.
    «Sì lo so, ma non ho più niente da perdere, mia madre è morta, uccisa da un Goblin. Noi sappiamo combattere, se ci metterete alla prova non vi deluderemo, siamo impareggiabili con il bastone!».
    Il capitano, anche se poco convinto, disse loro di presentarsi prima del tramonto all'accampamento a nord. Poi guardando Sheila negli occhi aggiunse «Ora corri però in armeria a pren-derti un vero bastone ».
    «Certamente lo farò subito, grazie!» rispose la ragazza salu-tandolo e uscendo velocemente dall'emporio.
    « Non ringraziarmi ora, se tornerete vivi mi ringrazierai più tardi» replicò il capitano.
    E i due ragazzi fecero così, acquistarono dei bastoni da guerra nuovi e si presentarono all’accampamento all’imbrunire. I soldati diedero loro del cibo e una piccola tenda dove trascorrere la notte.
    Sheila però non riusciva a dormire, era troppo eccitata per l’assalto ed ancora sconvolta per la morte della madre, così si mise ad allenarsi con il bastone nuovo. Eliot invece, troppo stanco, voleva solo dormire per essere riposato l’indomani mattina.
    La ragazza, così impegnata nell'allenamento, non si accorse che un uomo la stava osservando attentamente da qualche mi-nuto.
    Era Garret , conosciuto anche come il figlio dell’alchimista, suo padre aveva un negozio di pozioni e oggetti magici a Greenwood. Egli lo aiutava ma non amava quella vita, preferiva girare il mondo in cerca di avventure, vivendo di quel poco che trovava. Osservava incantato da qualche minuto Sheila finché disse «Devi essere più veloce nei movimenti, sei troppo prevedibile negli attacchi!»
    La ragazza, colta di sorpresa, sferrò per sfida un colpo verso lo strano individuo, il quale con un movimento veloce non solo riuscì ad evitare il colpo, ma le afferrò il bastone, bloccandola.
    Poi Garret mollò la presa, Sheila per effetto cadde a terra ed egli aggiunse «Vedi sei troppo lenta!» quindi le porse la mano e si presentò.
    All’inizio Sheila era titubante, quando egli la tranquillizzò dicendole che faceva parte dei buoni, si presentò anche lei ag-giungendo che sarebbe andata a dormire.
    Improvvisamente Garret divenne più serio «Non farlo Shei-la!» le intimò. «Cosa? Non devo andare a riposare?».
    «No, non devi combattere domani, sei ancora giovane, hai una vita davanti e poi come ho già detto non sei pronta. Che ti è successo di così grave per stare qui? Prendi il tuo amico e vattene, costruisciti una vita, ti troverai un marito, avrai dei figli e....»
    Sheila lo interruppe in modo nervoso «E poi un Goblin mi ucciderà davanti a loro, come è successo con mia madre? La-sciami in pace, non è quello che vedo nel mio destino!» Poi seguì con lo sguardo l’uomo andarsene.
    Si stese sul suo giaciglio cercando di rilassarsi, quando fi-nalmente riuscì ad addormentarsi la colse un sonno tormentato e pesante, le immagini della giornata le sfilavano davanti, rivedeva il Goblin uccidere la madre, se stessa che lo decapitava furiosamente, poi all’improvviso vide una vecchia vestita di bianco che la fissava da dietro un pesco in fiore. Infine fu buio totale.
    All'alba l'armata, composta da guardie del re e volontari re-clutati nella città di Ronwood, si incamminò in direzione della fortezza dei Goblin. Sheila e Eliot erano con loro in marcia, agitati e eccitati nello stesso tempo, era la loro prima azione di guerra.
    Il Capitano, davanti a tutti in sella al suo cavallo bianco, in-dossava un’armatura possente degna di un grande guerriero, nella parte sinistra della cinta pendeva il fodero della sua grande spada con manico intagliato a mano, sulla schiena portava lo scudo con l’emblema di Greenwood. Anche le altre guardie sfoggiavano lo stesso scudo, ma meno lavorato e impreziosito.
    Dopo un paio d’ore arrivarono ad un valico e qui si intravi-dero le sagome di due uomini a cavallo, erano Garret e un esploratore delle guardie.
    L’esploratore fece rapporto al capitano spiegandogli che la fortezza si trovava proprio lì vicino, due Goblin posti come sentinelle sulle alture, erano stati già neutralizzati da loro.
    Il Capitano si disse soddisfatto, si congratulò, poi si rivolse a Garret «Dimmi, ha funzionato l'idea della botte di vino come tributo ai Goblin ?» «Certamente, l'hanno bevuta fino all'ultima goccia ed ora sono tutti storditi.» L’esploratore continuò quindi il rapporto precisando che fuori dalla fortezza c’era una decina di Goblin poco pericolosi.
    «Cosa intende per poco pericolosi?» interrogò il capitano e poi aggiunse «Se significa che dormono tranquilli, si sa che la sbornia è dura da smaltire. Che mi dite invece dell'accesso al portone?»
    «Non ci crederà, ma lo hanno lasciato aperto» ribatté l’esploratore.
    «La sorte non poteva esserci più favorevole!» il Capitano estrasse un sacchetto di monete dalla tasca e lo lanciò a Garret. « Tenete, il vostro lavoro finisce qui, ora potete andare.»
    Garret afferrò i soldi al volo, gli fece un cenno di gratitudine e salutò l'esploratore.
    Passando tra i soldati, si fermò solo un attimo quando si ac-corse della presenza di Sheila e del suo amico. La osservò un po’ amareggiato, aveva tentato di convincerla a non andare ma non c’era riuscito. Fece per ripartire quando sentì la sua voce «Ditemi voi non partecipate allo scontro?»
    «Direi proprio di no, la guerra non fa per me» ribatté Garret e incurante del suo sguardo di disprezzo riprese il galoppo verso l’orizzonte, sicuro che un giorno lei avrebbe capito. «Mi raccomando abbi cura di te» furono le ultime parole di Garret.
    Sheila non sapeva se avrebbe rivisto quell’uomo, in cuor suo si sentiva profondamente dispiaciuta, in fondo era stato l’unico a preoccuparsi della sua sorte, anche se non capiva bene il perché.
    Il Capitano guardò Garret allontanarsi, prima di iniziare il discorso di incitamento alla truppa. «Oggi porremo fine alle incursioni dei Goblin, ricordatevi che questi mostri verdi hanno ucciso anche donne e bambini, divorato greggi e derubato molti di noi. Non fateli prigionieri, ma massacrateli senza pietà!»
    Ordinò quindi al primo ufficiale di prendere due dei suoi uomini migliori, di neutralizzare i Goblin all'esterno, poi l’armata sarebbe avanzata verso la fortezza.
    Così avvenne, i mostri fuori dalla fortezza furono eliminati con freddezza, poi l’attacco iniziò.
    Si inoltrarono facilmente nella fortezza dirigendosi verso il salone delle feste dove i Goblin si ritrovavano a banchettare, ridere e vantarsi dei crimini commessi a danno degli uomini. Un soldato fu mandato in avanscoperta e li vide distesi un po’ dappertutto, addormentati dopo la sbornia.
    Purtroppo nel cercare di uscire dalla stanza inavvertitamente colpì una ciotola di metallo che fece cadere prima un vaso, poi una ciotola di porcellana che finì in frantumi sul pavimento. I Goblin cominciarono a dimenarsi, uno di loro si svegliò e iniziò ad urlare tentando di svegliare anche gli altri.
    « Svegliatevi! Gli umani ci stanno attaccando» fu il suo gri-do continuo mentre il soldato aprì del tutto la grande porta, per permettere agli altri di entrare.
    Il Capitano incitò gli uomini e si precipitò all’attacco. Venne assalito da due Goblin contemporaneamente, uno riuscì a buttarlo a terra con un colpo di scudo, l’altro lo trafisse con la spada.
    La rabbia dei volontari di Ronwood e delle guardie trovò sfogo in quel momento, per troppo tempo i mostri verdi avevano ucciso e derubato le loro famiglie, ora era tempo di vendetta e di giustizia.
    Molto sangue Goblin fu versato, alcuni vennero uccisi nel sonno, altri cercarono inutilmente la fuga dalle finestre della fortezza, qualcuno prima di morire portò a segno qualche colpo di spada ma per le orrende creature non ci fu scampo. L’aria nel salone era satura dell’odore della morte, il Capitano guardò la spada insanguinata poi i soldati, quindi fece loro un cenno con la testa, come a congratularsi per l’azione svolta.
    Intanto Sheila e gli altri, salirono le scale ma furono attaccati di sorpresa dalle frecce di un paio di Goblin, nascosti al piano superiore. Il primo a cadere fu l'ufficiale, poi Eliot fu trafitto alla gamba destra ma arrancando continuò a salire.
    Arrivata in cima, Sheila con un veloce scatto colpì con il suo bastone il Goblin rimasto, facendolo cadere giù per le scale proprio nel momento in cui ne uscirono ancora una mezza dozzina, dalle stanze adiacenti.
    Sheila guardò l’amico negli occhi, i suoi lampeggiavano d’ira «Per anni abbiamo aspettato un vero combattimento, vero Eliot? Fatevi sotto sorci verdi !!» disse.
    Il ragazzo, dolorante per la ferita, cercò di frenare il suo im-peto dicendole di prendere tempo fino all’arrivo degli altri soldati, ma Sheila era ormai troppo carica, come un leone nell’arena e, con il suo lungo bastone riuscì a stendere il primo Goblin.
    Eliot nel frattempo attaccato da due, con movimento veloce li fece cadere entrambi, uno lo scaraventò giù dalle scale, l’altro invece fu più veloce di lui e colpì Eliot con un pugnale allo stomaco.
    Il ragazzo, urlando di dolore, riuscì comunque ad afferrarlo al collo, stringendolo così stretto fino a strangolarlo. Sconvolto, si girò proprio nel momento in cui un Goblin stava colpendo Sheila alle spalle. Si gettò come un fulmine verso di lui, per proteggerla, difenderla con tutte le sue forze ma ebbe uno scontro frontale e ambedue caddero dal parapetto. Un volo, un tonfo sordo, Eliot aveva dato la vita per Sheila. Ne era segretamente innamorato da tempo, mai avrebbe permesso a qualcuno di farle del male, mai avrebbe immaginato una vita senza di lei.
    Sheila vide l'amico precipitare, ma fu un istante perché subito un altro la attaccava di nuovo, riuscì a girare vorticosamente su se stessa, colpendolo a morte.
    Ne rimasero tre che decisero di accerchiarla. Lo scontro ebbe inizio, il primo affondò la sua spada ma venne fermato da Sheila con un colpo ben assestato al braccio che gli fece perdere la spada, il secondo riuscì a ferirla alla spalla per poi indietreggiare sotto i violenti colpi della ragazza. Sheila era in ginocchio, ferita, esausta, riuscì a sferzare un ultimo colpo in pieno volto con il suo bastone, poi colta di sorpresa, ricevette una pugnalata in un fianco.
    Urlò di dolore, indietreggiò di un paio di metri e stramazzò a terra. Il Goblin le si avvicinò fulmineo ma nel momento in cui le stava dando il colpo di grazia, una pugnalata lo raggiunse sul collo, uccidendolo all’istante. In piedi, vicino a Sheila, c’era Garret, era tornato indietro preoccupato per il destino della ragazza.
    Nel frattempo altri Goblin arrivarono correndo veloci, ma Garret estrasse dalla tasca una sacchettino contenente una pol-verina color argento e la gettò con forza contro di loro. La pol-vere, una potente magia, provocò enormi allucinazioni. Uno si immaginò al centro di un grosso incendio e per sfuggire si gettò al piano di sotto, gli altri furono disarmati e uccisi facilmente.
    Quindi Garret soccorse Sheila, la prese tra le braccia e le fe-ce bere una pozione che l’avrebbe guarita. La ragazza bevve, osservò il suo salvatore con un debole sorriso e perse i sensi.
    La battaglia era finita, non rimase vivo nemmeno un Goblin, gli umani avevano subito perdite irrilevanti. Furono scavate delle fosse comuni, dove trovarono riposo i corpi senza vita delle orrende creature.
    Garret attese fuori dalla tenda dove avevano portato i feriti, c’era anche Sheila con loro. Guardando la fossa con i cadaveri pensò quanto insulsa e spregevole fosse la guerra, anche se si trattava di esseri ripugnanti, innumerevoli vite erano state stroncate.
    Dalla tenda uscì il Capitano, si affiancò a Garret che subito si informò di Sheila. Il Capitano lo guardò affranto e gli rispose che era molto grave, ma la pozione magica le aveva per ora, risparmiato la vita.
    Garret sconsolato fece tre passi, si voltò verso di lui allar-gando le braccia e gli disse «Mi chiedo perché abbiate accon-sentito che vi seguisse in questa battaglia, era solo una ragazzina».
    Il capitano sentiva in cuor suo che Garret aveva ragione, se Sheila fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato, poi una luce irradiò i suoi pensieri, forse sapeva come salvarla.
    «C’è ancora speranza per la ragazza, ha mai sentito parlare del Tempio di Sall?» disse a Garret fissandolo con profondità.
    «Se non sbaglio si trova sulle colline a nord-ovest, ho sentito dire che è la dimora di fanatiche religiose»
    «Proprio quella, ma invece vi abitano Sacerdotesse e Guer-riere Chieriche. L’unica cosa è che non vanno contraddette, non hanno una buona considerazione degli uomini».
    «Pensa che la salveranno?»
    «Se non ce la faranno loro, non ci riuscirà nessuno. Vi con-viene partire subito, un giorno intero dista da qui. Ma ditemi, perché ci tenete così tanto a quella ragazza?» chiese a Garret.
    «Mi ricorda tanto mia figlia che ho perso, uccisa da un or-so.»
    «Ora tutto mi è più chiaro, andate, vi auguro immensa fortuna».
    Con un cenno, fermò un soldato di passaggio, gli ordinò di preparare un carro con delle provviste e di consegnarlo a Gar-ret. Caricarono quindi Sheila, sempre più pallida, ogni istante poteva esserle fatale.
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  4. jojovi
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    The Art Of Magic- La Profezia
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    CAPITOLO II
    Il Battesimo di Sall

    Il viaggio fu lungo e, quando giunse la notte, Garret faticò a restare sveglio.
    Alzando gli occhi al cielo, osservò la luna, era piena, limpida e la sua luce illuminava ogni dove, poi estrasse la borraccia, bevve un sorso d’acqua e se ne versò un po’ in volto per rinfrescarsi.
    Finalmente, a giorno inoltrato, arrivò nei pressi del tempio. La sua attenzione fu subito attirata dall’ammonimento di un cartello "AL TEMPIO DI SALL –TORNA INDIETRO VIANDANTE!".
    Non se ne curò e continuò il cammino finché in lontananza scorse due donne a cavallo che, al galoppo, venivano verso la sua direzione. Fu una visione celestiale, la loro bellezza, avvolta in un’armatura lucente e abbagliante, lo estasiò. In un lampo arrivarono vicine al carro ed egli riconobbe in loro due Guerriere Chieriche.
    «Chi sei, cosa vuoi, straniero? Non hai letto il cartello?» gli chiesero aspramente.
    «Mi chiamo Garret, vengo per conto del Capitano Gerald, mi serve aiuto immediato per la ragazza» e con un cenno della testa indicò Sheila sempre più sofferente che si lamentava in modo straziante. Una delle due non sentì ragioni e lo intimò di ritornare in città dove avrebbe sicuramente trovato aiuto. L’altra, più tollerante, gli si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio che avrebbe consultato la Gran Sacerdotessa, detentrice di ogni decisione. Garret la ringraziò sollecitandola a far presto, ormai sicuro che solo loro potessero salvare la vita a Sheila.
    La guerriera scrutò la ragazza un istante, quindi girò il suo splendido cavallo nero e si diresse al galoppo verso il Tempio. Giunta nel cortile lo consegnò a una scudiera, entrò nel palazzo e dopo aver attraversato il grande salone, raggiunse la sala chiedendo urgentemente udienza alla Gran Sacerdotessa.
    La porta si aprì poco dopo e una voce calma la invitò ad en-trare. «Cosa posso fare per te, mia cara?»
    La Gran sacerdotessa era una donna pacata, saggia e obietti-va, la caratterizzava una grande esperienza; il suo carisma in-cantava chiunque l’avvicinasse.
    La guerriera, dopo un bel sospiro, la mise al corrente dell’arrivo di Garret precisando che era stato inviato dal Capi-tano Gerald. Intercorse un profondo silenzio poi la Gran Sacerdotessa disse « Strano, ogni tanto rispunta il suo nome».
    «Di chi?» chiese la guerriera incuriosita «A quale dei due vi riferite?»
    «Al capitano Gerald, è un vecchio amico» rispose la Gran Sacerdotessa afferrando da un cesto decorato una mela succosa «Ma cosa vuole da noi questo Garret?»
    La guerriera le spiegò per filo e per segno ogni cosa sottoli-neando la richiesta urgente di cure per Sheila.
    «Ebbene acconsento, ma mi raccomando l'uomo non deve entrare nel Tempio, dategli per stanotte una sistemazione nella stalla, domani mattina lo riceverò. Ora va, corri!»
    «Immediatamente!» rispose la guerriera e lasciò la stanza proprio nel momento in cui arrivò trafelata e ansante la Sacer-dotessa più anziana. Pallida, attese che la porta si chiudesse dietro di sé, poi la sua voce tremolante scandì poche, chiare parole «La profezia, la profezia sta per compiersi!» disse.
    «Calmatevi e spiegatemi i pensieri che vi affliggono» ribatté la Gran Sacerdotessa.
    «E’ proprio come nei miei sogni, un viandante, una vergine e…» la vecchia si avvicinò alla finestra e guardando il carro da lontano aggiunse «Non dovete farli entrare, stanotte sarà il primo giorno di luna piena!»
    «Non affrettiamo le conclusioni. Può essere una coincidenza non vi pare?»
    «Coincidenze? Non ho mai creduto alle coincidenze, da giorni sento una strana influenza negativa che invade violente-mente la mia mente».
    «Facciamo in modo che la ragazza sopravviva e poi ne di-scuteremo» ribatté decisa la Gran Sacerdotessa con tono rilas-sante per tranquillizzare la situazione, ma in cuor suo sapeva che si celava del vero nelle parole ascoltate.
    La Sacerdotessa anziana osservò Garret e Sheila entrare dal cancello, scortati dalle guerriere, poi scrollando la testa, scon-solata aggiunse «Ormai il fato si è compiuto, se non le dispiace mi ritiro in preghiera.»
    «Andate pure, una cosa vi prometto, non permetterò che ac-cada nulla di male tra queste mura, avete la mia parola!» La Guerriera anziana si voltò ancora un istante «Non è quello che può accadere al tempio che mi preoccupa, ma ciò che succede-rà fuori» disse e uscì barcollando.
    La Gran Sacerdotessa rimase da sola e per la prima volta avvertì qualche incertezza per il futuro.
    Sheila fu portata immediatamente nelle Sala della Salute dove venne medicata amorevolmente con pozioni magiche dalle adepte.
    Qui, poco dopo, la raggiunse la Gran Sacerdotessa «Se la caverà ?» chiese. «E' troppo presto per dirlo, ci preoccupa la ferita sul fianco inflittale sicuramente da un pugnale velenoso».
    E fu mentre ascoltava, che i suoi occhi attenti furono catturati dal ciondolo che brillava al collo della ragazza, lo prese tra le dita per osservarlo meglio, stranamente il simbolo inciso le era familiare ma non ricordava dove l’avesse già visto. Decise, per il momento, di tenerlo con sé, lo sfilò con delicatezza e lo mise in tasca, poi uscì raccomandando alle due Sacerdotesse di prendersi cura in tutti i modi di Sheila.
    La vita dentro al Tempio di Sall era molto rigorosa, dedita per lo più alla preghiera, alle arti magiche e al combattimento. Venivano ammesse solo le donne, che potevano entrarvi fin da piccole.
    Era ormai mattina, ma Garret continuava a rigirarsi sfinito tra il fieno odoroso, la notte non era stata benevola, il sonno travagliato e convulso lo manteneva in percorsi inquietanti, senza senso.
    Il compito di svegliarlo fu assegnato a due bimbe: Genna e Victoria.
    Genna colpiva per la sua cascata di riccioli color miele e gli occhietti verdi vispi e accesi, Victoria ad una prima occhiata un po’ più grandicella, aveva lunghi capelli color ebano raccolti in una lunga treccia e si muoveva in modo attento e circoscritto.
    Avvicinandosi a Garret le due bambine lo sentirono lamen-tarsi « Senti coma russa, sembra un orso di montagna!» disse Genna ridendo compiaciuta. «Perché tu hai visto gli orsi?» chiese Victoria.
    «Certo, li incontravo quando andavo nei boschi con papà e non mi facevano paura, mangiavano il miele e poi si addor-mentavano sereni» rispose Genna avvicinandosi ulteriormente a Garret e iniziando a tirarlo per i pantaloni.
    L’uomo si svegliò di colpo e spalancò gli occhi in modo così violento che la bambina trasalendo fece tre salti indietro sgomenta. Garret, incurante di loro, si stiracchiò e farfugliò alcune parole incomprensibili. «Buongiorno straniero!» gli dissero le bambine in coro e Garret, sorpreso dalla loro presenza, chiese loro da dove sbucavano.
    «E’ lei lo straniero al tempio e come tale siamo noi a farle domande, come vi chiamate?» chiese Genna. «Da dove veni-te?» aggiunse Victoria.
    «Una alla volta, per piacere! Mi chiamo Garret e vengo da lontano, molto lontano»
    «Che nome buffo!» saltò fuori Genna con la spontaneità in-nata dei bambini. Garret accennò un sorriso e con uno scatto in avanti fece per prendere Victoria per una gamba, ma le bimbe scapparono via.
    Garret si rizzò divertito e, mentre cercava di scrollarsi di dosso il fieno attaccato ai vestiti, non si accorse dell' arrivo di Hanna , una adepta di Sall, prossima al voto. «Vedo che vi di-vertite a spaventare le bambine!” disse infastidita. «E voi d’altra parte avete spaventato me!» rispose Garret in modo canzonatorio.
    La donna non gli diede importanza e gli indicò una ciotola appoggiata per terra «Vi ho portato un po' di zuppa, e per rin-frescarvi, dietro la stalla, c’è la vasca d'acqua per gli animali.»
    Hanna emanava un fascino particolare e il suo profumo ave-va inondato la stalla. «Salve, mi chiamo Garret e voi chi siete, se non sono indiscreto?»
    La guerriera non aveva mai incontrato un uomo in vita sua, essendo ormai da dieci anni rinchiusa nel tempio, quindi non ricambiò il saluto e rispose «Il mio nome non ha alcuna importanza per voi, non sono abituata a presentarmi agli sconosciuti».
    «Comprendo, ma sedetevi un po', mi delizierebbe la vostra compagnia» Hanna non alzò più gli occhi verso Garret , lo in-timò invece di affrettarsi perché da lì a poco avrebbe ricevuto la visita della Gran Sacerdotessa.
    « Potete almeno darmi notizie della ragazza? Mi è molto cara e ho bisogno di sentire che sta migliorando».
    «Non posso dirvi niente, lo verrete a sapere a tempo debito» disse Hanna con lo sguardo assente rivolto verso il tempio.
    Proprio in quel momento Garret si accorse che in lontananza sopraggiungeva una donna maestosamente vestita, scortata da Guerriere Chieriche, quindi finì velocemente la zuppa, si risciacquò il viso nella vasca e si preparò all’incontro.
    «E’ la Grande Sacerdotessa?» chiese, indicando la figura sempre più vicina.
    «Sì, esigiamo profondo rispetto per lei, è la nostra guida, la luce del tempio di Sall» rispose Hanna con distacco e uscì dalla stalla.
    I cavalli si fermarono, la Gran Sacerdotessa scese e con la sicurezza di chi conosce molte cose, si avvicinò a Garret , lo scrutò dalla testa ai piedi e domandò «Dunque ti manda Ge-rald?»
    «Esatto, è lui che mi ha parlato delle vostre doti guaritrici» rispose lui.
    «Ma ditemi cos'è successo alla ragazza?» Garret cercò di ri-comporsi, iniziò quindi il lungo racconto dell’assalto alla for-tezza e di come avesse salvato la ragazza dalle violenze dei Goblin.
    La Gran Sacerdotessa, perplessa, chiese chiarimenti sul per-ché una ragazzina fosse stata mandata a combattere, sapendo che avrebbe potuto morire.
    Garret a questo non sapeva rispondere perché in cuor suo proprio non l’aveva capito, conosceva le ragioni di Sheila ma non comprendeva perché fosse stata accettata nella milizia. Mise quindi la Gran Sacerdotessa al corrente di quanto la ragazza avesse vissuto, della morte della madre da parte di un Goblin, della sua disperazione e solitudine.
    «Ora comprendo è la vendetta che l’ha spinta a combattere!»
    «Purtroppo è così, ma ditemi come sta ora Sheila?»
    «Sembra fuori pericolo, ci vorrà un mese o forse due perché si rimetta del tutto».
    «Un mese, due? Non posso trattenermi per un così lungo tempo, ho alcune questioni da risolvere, vi potete prendere cura di lei in questo tempo?»
    «Di solito non ospitiamo nessuno al Tempio»
    «Neanche in cambio di un’offerta generosa? Che ne dite del carro?»
    La Gran sacerdotessa guardò il carro, ci pensò e aggiunse «Farò un’eccezione per Sheila, sembrate una persona per bene»
    «Anche voi offrite fiducia per la franchezza con cui parlate”.
    «Dove potremmo trovarci tra circa due mesi?»
    «Quando la ragazza si riprenderà mi troverete a Greenwood, alla taverna del Falco o al negozio dell'alchimista. Vi aspetterò lì, non mandate assolutamente Sheila da sola.»
    «Non abbia pena Garret, una di noi l'accompagnerà.»
    «Grazie, ora mi sento più sollevato e posso partire sereno».
    La donna ordinò ad Hanna di preparargli delle provviste per il viaggio e invitò Garret a lasciare il luogo. Quando egli le chiese di poter salutare un’ultima volta Sheila, ella glielo negò incitandolo nuovamente ad andarsene dal Tempio nel più breve tempo possibile, in quanto gli uomini non potevano accedervi.
    Garret rassegnato si preparò.
    «Un’ultima cosa straniero, perché tenete così tanto alla ra-gazza? Cosa vi lega in modo forte a lei?»
    «Solo una promessa di protezione fatta alla madre, in punto di morte». In quel momento a Garret mentire parve la scelta migliore.
    «Va bene allora, che Sall vi protegga» la Sacerdotessa si congedò.
    Garret la osservò allontanarsi poi si voltò per incontrare lo sguardo di Hanna. La ragazza era intenta ad ammirare uno dei suoi cavalli, quello più fiero, di un colore bianco candido.
    «Vi piace?» le chiese
    «E' meraviglioso, dicono che i cavalli bianchi siano puri e magici» rispose lei.
    Garret le si avvicinò, e guardandola intensamente negli occhi le sussurrò dolcemente «Se volete può essere vostro, cosa mi offrite in cambio?»
    Hanna fu colta di sorpresa e arrossì, aveva sempre sognato un cavallo bianco, rifletté un attimo e rispose «Prima avete parlato di un’alchimista, vi interessano delle pozioni di guari-gione?»
    «Penso che lo scambio si possa proprio fare, il cavallo è vo-stro!» dichiarò Garret con gli occhi che brillavano. Aveva per-so la testa per lei dal primo momento che l’aveva vista, a tal punto da barattare un cavallo di proprietà delle guardie del re, con qualche pozione e un paio di pergamene, uno scambio non proprio alla pari.
    «Fra un'ora avrete ciò che volete.» Hanna fece per congedarsi ma Garret aggiunse
    «Anche un bacio d'addio, vero?»
    «Scordatevelo, nemmeno in punto di morte vi bacerei!»
    Un’ora più tardi Hanna tornò, come promesso, con le pozio-ni, le pergamene e le provviste. Garret salì sul suo cavallo e partì per Greenwood con l’unico rammarico di non aver potuto rivedere Sheila.
    Passò del tempo, Sheila cominciò lentamente a riprendersi, la ferita si rimarginò completamente e piano, piano le forze aumentarono.
    Un mattino la sacerdotessa anziana entrò nella stanza mentre la ragazza dormiva, si avvicinò al letto tacitamente, la osservò e subito avvertì un brivido di freddo lungo la schiena. Se la profezia era vera, sventura e morte avrebbero accompagnato Sheila nei giorni futuri e lei non comprendeva perché fosse l’unica ad avvertire tali sensazioni.
    In quel momento entrò Hanna, scorse la donna e le chiese il motivo della visita. La vecchia trasalì, la sua mente era altrove in quel momento. «Oh sei tu Hanna? La stavo solo osservando, è una bella ragazza non è vero?»
    Ma Hanna conosceva le ossessioni della sacerdotessa anzia-na e le confidò di non credere alla profezia.
    «Non sottovalutare i miei presagi» rispose la vecchia tremolante nella voce.
    «Presagi? Forse vuole dire allucinazioni! Ora se non le di-spiace le chiederei di lasciare la stanza”.
    La vecchia indietreggiò di un paio di metri e dopo una piccola titubanza riprese «A proposito, ho sentito che il Concilio ha chiesto a te di vegliare sulla ragazza»
    «Così è stato deciso»
    «Il Concilio prende le cose un po’ alla leggera e non mi dà più ascolto, da quando sono stata esclusa come membro mi considerano una persona senza senno»
    «Avranno avuto le loro ragioni per escluderla dal Concilio.»
    «Sarà, ma io so bene cosa avverto e racconto. Stai attenta Hanna questa ragazza porta sventura con sé, lei e lo straniero che l'ha accompagnata, recano pericoli e morte.»
    Hanna cominciò ad innervosirsi. «Vedete maledizioni e pre-sagi dappertutto, ormai è una fissazione per voi! Non credo assolutamente a tutte queste premonizioni, il destino non è già scritto come pensate, lo creiamo noi con le nostre scelte giuste o sbagliate che siano».
    La sacerdotessa prese Hanna per un braccio e scrutandola in viso aggiunse «Parli da giovane inesperta, non hai idea di cosa ci sia fuori visto che hai vissuto gli ultimi anni rinchiusa nel Tempio, cosa vuoi saperne del destino? Per quanto riguarda il tuo, il Concilio ha già deciso per te »
    Hanna si liberò con uno strattone dalla prese e le ripeté di andarsene.
    All’improvviso Sheila si svegliò, si guardò attorno attonita e tentò di sollevarsi, poi con voce flebile e disorientata chiese «Dove sono? Non riconosco questo luogo»
    «Ti trovi al Tempio di Sall, non preoccuparti veglio io su di te, devi riposare ancora un po’e quando ti rimetterai, ti spiegheremo ogni cosa». Poi le porse una piccola ciotola con una tisana alle erbe, appena preparata.
    Sheila ne bevve un po’, si girò quindi verso Hanna per chie-derle se si trovava in paradiso, la tranquillità di quel luogo era ben distante dalla crudeltà della guerra che aveva vissuto prima di immergersi in un sonno profondo.
    «Non sei morta» le rispose Hanna sorridendo «Ma se non ti avesse portato qui, ora non parleremo insieme sicuramente»
    «Portato qui? Chi mi ha portato qui?»
    «Un uomo, non proprio simpatico, di nome Garret, ti dice qualcosa?»
    «Garret?» per un attimo Sheila rimase in silenzio, poi ricordò ogni cosa.
    Pensò a Garret codardo che non aveva voluto combattere, all'assalto della fortezza , ai Goblin così crudeli e ripugnanti, a Eliot... a proposito dove si trovava il suo migliore amico? In preda ad un improvviso attacco di panico iniziò ad urlare e di-menarsi. Hanna la tranquillizzò con affetto «Dai su sdraiati, ora ti trovi al sicuro, qui nessuno potrà farti del male e ci sono io a proteggerti»
    Ma Sheila non riusciva a darsi pace, i pensieri le affollavano la mente in modo crudele, le era sopraggiunto anche il ricordo della madre uccisa così barbaramente senza motivo e il desiderio di vendetta l’assalì di nuovo.
    «Datemi il bastone, il mio bastone da guerra, devo ritornare a combattere» chiese piangendo, tentando di scendere dal letto.
    Hanna prontamente riuscì ad evitarle una caduta e accarez-zandola le disse «Sei esausta Sheila, non ti reggi in piedi, hai bisogno ancora di tempo, poi affronteremo ogni cosa che ti fa così soffrire». Quindi la sdraiò nuovamente sul letto e le rim-boccò le coperte tastandole il polso preoccupata.
    Trascorsero ancora quindici, interminabili giorni poi final-mente Sheila ritornò a camminare. La mattina del sedicesimo si alzò presto, fece una fugace colazione poi uscì fuori in giardino, accompagnata da Hanna.
    Con ammirazione vide le seguaci di Sall allenarsi nell'arte del combattimento, alcune con il bastone, altre con mazze e mazzafrusti, contro fantocci. Rimase estasiata ad osservarle nelle loro luccicanti armature, quei movimenti così precisi che assomigliavano ad una danza, erano un incanto.
    «Però, fanno sul serio qui! Chi sono?» chiese.
    «Quelle sono delle guerriere Chieriche» rispose Hanna e le spiegò che al compimento del ventesimo anno di età le adepte ricevevano il battesimo di Sall, dopo il quale il Concilio sce-glieva per loro una delle due strade possibili, o quella della Guerriera Chierica addestrata all'uso delle armi o quella della Sacerdotessa di Sall iniziata all’arte della magia.
    «Non avevi mai sentito parlare di noi?»
    «A dire il vero no, provengo da un piccolo villaggio a est e, mi vergogno a dirlo, non sono mai uscita dai nostri confini»
    «Se devo essere sincera neanche io ho visto molto, sono ar-rivata al Tempio a dieci anni e non conosco nulla al di fuori di qui, come vedi pur vivendo in luoghi molto diversi siamo se-gnate dalle stesse esperienze».
    «E tu che strada hai scelto?» le chiese Sheila incuriosita.
    «Non ho ancora ricevuto il battesimo, avverrà tra qualche giorno quando compirò i miei vent’anni e allora il Concilio si pronuncerà per me»
    «Ma è magnifico, dovresti essere felice!» esultò Sheila gi-randosi verso di lei.
    «Io vorrei diventare Sacerdotessa, ma il Concilio vede in me l'anima della Guerriera» spiegò Hanna a malincuore e poi aggiunse «Se non sbaglio quando sei arrivata qui fra le tue cose c'era un bastone da guerra»
    «Sì, perché?»
    « Perché da domani cominceremo l'allenamento» disse Hanna convinta.
    In quel momento arrivò la Gran Sacerdotessa «Non è un po’ troppo presto per pensarci?»
    Sheila, colta di sorpresa, le chiese chi fosse ma fu ancora Hanna a fare per le presentazioni di rito.
    «Sheila lei è la Gran Sacerdotessa di Sall, la più saggia e potente tra le seguaci del grande dio».
    «Suvvia Hanna non adulatemi troppo» disse la Gran Sacer-dotessa con umiltà, poi rivolgendosi a Sheila aggiunse « Vi vedo bene, state meglio dal giorno in cui Garret vi ha portato qui».
    «Sì mi sento meglio grazie a tutte voi e a questo Garret»
    «Lo straniero sembra un brav'uomo voi che ne dite?» inter-loquì la Gran Sacerdotessa.
    «Non saprei, non lo conosco, gli ho parlato solo la sera pri-ma dell'attacco alla fortezza, poi da quando sono stata ferita non ricordo più nulla».
    La donna ascoltando Sheila ripensò alla risposta di Garret «Strano lui ha affermato che conosceva vostra madre e che in punto di morte lei gli ha chiesto di proteggerti».
    «Impossibile, mia madre mi è morta tra le braccia e con me c'era solo il mio amico Eliot.»
    Hanna pensò ad alta voce «E’ pure bugiardo, oltre che anti-patico quell’uomo».
    La Gran Sacerdotessa sorvolò il dettaglio della bugia di Garret e fece notare a Sheila che comunque doveva a lui la sua vita e che per salvarla aveva viaggiato molto, anche di notte. «Un po’ di gratitudine gliela devi, secondo me».
    «Avete ragione, forse sarà il caso che lo vada a cercare a Greenwood, così saprà anche dirmi le sorti di Eliot, la persona a me più cara».
    «Ci vuole ancora un po’ di pazienza, prima devi rimetterti completamente, quando ciò accadrà potrai partire» disse la donna, poi rivolgendosi a Hanna la informò che prima di pran-zo desiderava parlarle in privato. Infine prese con delicatezza dalla tasca l’amuleto e lo infilò al collo di Sheila «Questo è tuo!»
    «L’amuleto, pensavo di averlo perso nella battaglia!» La Gran Sacerdotessa, prima di congedarsi, fece un cenno con la testa, Sheila non conoscendo le usanze di quel posto accennò un inchino.
    Il giorno dopo le due ragazze si svegliarono all’alba, Hanna portò Sheila al deposito dove le restituì il suo bastone da guer-ra, le diede un abito da novizia guerriera e poi scelsero un po-sto appartato sotto un grande albero di pesco in fiore, per alle-narsi.
    «Ti sta bene questa divisa, sembri già una guerriera. Sei pronta?»
    Sheila fece roteare in aria il bastone «Ho avuto momenti migliori, ma è necessario che io ritorni in forma per dare una lezione ai Goblin della fortezza.»
    «Ma nessuno te l'ha detto?» le chiese Hanna perplessa
    «Detto cosa?» ribatté Sheila, con occhi sgranati.
    Allora Hanna le riportò il racconto di Garret, la mise al cor-rente del fatto che i Goblin erano stati tutti sterminati ed am-massati in grandi fosse comuni. Sheila restò basita, sperava in cuor suo che qualche mostro verde fosse sopravvissuto per sa-ziare la propria vendetta, ora invece si sentiva ad un tratto svuotata, senza un motivo per proseguire. Con uno scatto d’ira gettò il bastone lontano e si accasciò a terra con gli occhi nel vuoto.
    Hanna notò il suo sconforto, le riportò il bastone e poi si se-dette accanto a lei prendendole la mano.
    «Devi andare avanti per tua madre, lei non avrebbe voluto vederti così, là fuori ci sono molti pericoli devi allenarti per essere pronta e io ti aiuterò»
    Sheila rimase in silenzio poi capì che aveva ragione, era ne-cessario proseguire in memoria di chi l’aveva tanto amata, quindi si rialzò rimettendosi in posizione di combattimento
    «Dai fammi vedere cosa sai fare Guerriera Chierica!» esordì.
    «Non sono ancora una guerriera» stava per dire Hanna, ma Sheila le sferrò un colpo che la costrinse a rinunciare alle spiegazioni per pararlo prontamente e con una rotazione decisa del bastone disarmò la ragazza.
    «Sei giustificata solo perché hai appena ripreso le forze, ma sappi che d’ora in poi non puoi commettere errori perché userò tutta la mia abilità».
    Passarono giorni di duri e interminabili allenamenti, princi-palmente con il bastone ma anche con il tiro alla fionda e con la mazza ferrata. La Gran Sacerdotessa seguiva con interesse, dalla finestra della sua sala, i progressi di Sheila e li spiava anche quella più anziana che da giorni non usciva più dalla sua stanza.
    «E' sempre lì che ci osserva» disse Sheila. Quella donna un po’ la intimoriva anche se non comprendeva esattamente per-ché, inoltre da qualche giorno, notava una certa inquietudine in Hanna.
    «E’ perché sta per sopraggiungere il giorno del tuo Battesi-mo che sei così pensierosa?» le chiese.
    «Sì, sono dieci anni che aspetto questo momento, ma ora è tutto diverso, sei arrivata tu e sono confusa» disse sedendosi su una panca per riposare. «Un tempo prima di addormentarmi pensavo alle formule magiche che avrei imparato ed ero felice, ora rifletto sempre su quale mossa insegnarti e presto partirò con te per Greenwood»
    «Partiremo? Sarai tu ad accompagnarmi? Non ci posso cre-dere!» affermò Sheila non contenendosi più dalla gioia e l’abbracciò affettuosamente.
    «Sì, il Concilio ha deciso che sarò io a proteggerti in questo viaggio» aggiunse Hanna poi si congedò per prepararsi, nel si-lenzio della sua stanza, al Battesimo che sarebbe stato celebrato l’indomani sera.
    Il giorno seguente al Tempio tutto procedeva in modo com-posto e tacito per l’evento. La cappella fu abbellita con cande-labri enormi a destra e a sinistra, la grande croce di Sall brilla-va dietro l’altare preparato con ghirlande di gigli bianchi.
    Al rintocco delle campane tutte le Guerriere e le Sacerdotesse entrarono austere e si sedettero composte intorno all’altare. Quando il Concilio fu al completo gli enormi portoni decorati furono chiusi e un solenne silenzio di rispetto invase il Tempio. Sheila non poté assistere al rito perché non era una seguace di Sall, quindi si sedette fuori, accoccolata sugli scalini, con la speranza di sentire ciò che avveniva all’interno.
    La cerimonia ebbe inizio, la Gran Sacerdotessa si alzò in piedi e distendendo le braccia verso il cielo disse di chiamare Hanna.
    Ella entrò da una stanza laterale, accompagnata da due ra-gazzine, una teneva in mano il vestito da Sacerdotessa, l'altra l'armatura da Guerriera Chierica. Hanna indossava una tunica bianca semplice e pura, entrando cercò lo sguardo di Sheila, sapeva che non era permesso assistere al rito, ma ci aveva spe-rato fino all'ultimo. Camminò con grande dignità verso l’altare e si mise davanti alla Gran Sacerdotessa.
    Quest’ultima la guardò con orgoglio e rivolgendosi al Concilio disse «Stasera siamo qui per battezzare, in nome di Sall, Hanna di Greenwood. Per dieci lunghi anni l'abbiamo vista crescere e osservandola abbiamo notato il suo impegno, la sua determinazione, che ci hanno portato a scegliere consapevolmente il suo destino. Non è stato facile ma alla luce degli ultimi eventi il Concilio ha deliberato».
    Terminato di parlare con un cenno della mano diede ordine affinché avvenisse la vestizione.»
    Nella Cattedrale entrarono una decina di giovani donne che con un grande telo grigio crearono un cerchio attorno a Hanna, in modo che non si potesse vedere dall'esterno. Vi entrarono solo le due bambine alle quali la Gran Sacerdotessa aveva sus-surrato quale vestito farle indossare.
    Quando la ragazza fu pronta, la Gran Sacerdotessa alzò nuo-vamente le braccia al cielo e lanciando la magia della luce fece illuminare la volta del tempio poi esclamò «Con il ruolo che mi compete ti battezzo Guerriera Chierica di Sall»
    In quel momento il telo fu spostato dolcemente e Hanna uscì allo scoperto radiosa e commossa. Ci fu un grido di esclamazione generale, poi alcuni istanti di silenzio quasi innaturale.
    La ragazza avvolta nella sua nuova armatura, si guardò at-torno, si asciugò le lacrime con il dorso della mano poi alzando la mazza ferrata con la mano destra, recitò con convinzione il giuramento.
    «Io Hanna, Guerriera Chierica di Sall, giuro che onorerò per sempre il mio dio senza timore e se sarà necessario mi sacrifi-cherò per lui». Un forte applauso seguì alle sue parole, confe-rendole onore.
    Sheila lo sentì e gioì intimamente per Hanna. Fu in quel momento che si avvicinò a lei la Sacerdotessa anziana. Le due si scrutarono intensamente poi Sheila disse «E’ fatta, ora la scelta è compiuta!»
    «Sì , la decisione è stata presa» intervenne la donna «Ma il Concilio ha cambiato il suo parere iniziale perché Hanna potesse proteggere te, non era questo il suo destino».
    Sheila si spaventò a quelle parole e chiese contrariata «Per-ché ci avete spiato ogni giorno?»
    «Non ho nulla contro di voi, ma non posso negare ciò che sento e provo nelle mie visioni» le rispose la Sacerdotessa.
    «E cosa vedete di preciso?» chiese ancora Sheila mentre, all’improvviso, mille dubbi la assalivano.
    «Purtroppo vedo un'ombra oscura su di te, è un presagio che da tempo mi affligge ma oggi scorgo anche una luce, forse una piccola speranza esiste per la tua vita. Verrà un momento però in cui dovrai liberarti di questo amuleto dandolo alla persona che il tuo cuore ti indicherà come la più giusta»
    «Ma come saprò quale sarà il momento e a chi darlo?»
    «Lo saprai e basta, ricordati delle mie parole, addio Sheila»
    La sacerdotessa si dileguò proprio nel momento in cui il portone della cappella si aprì e uscì Hanna in tutto il suo splendore. Le due si fissarono negli occhi senza fiatare, poi Sheila sorrise alla sua nuova amica che contraccambiò.
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    Capitolo III
    La Foresta Della Strega.

    Due giorni dopo le ragazze partirono , a Sheila diedero un vecchio cavallo grigio appartenente a una delle sacerdotesse mentre Hanna aveva il cavallo bianco barattato con Garret. Cavalcarono per ore, ma mentre Hanna era abituata per Sheila non era così .Le doleva il sedere tanto da supplicare Hanna di fermarsi da qualche parte per riposare; presto ci accamperemo, appena ai bordi della foresta, così le rispose.
    Sheila affiancandosi ad Hanna vide che oltre la sua mazza chiodata aveva un'altra arma dentro la sacca . Si intravvedeva solo il manico e dal vedere era tutto intarsiato e di pregevole fattura, sembrava proprio un'arma pregiata. Così, incuriosita, le chiese di che arma si trattasse.
    Hanna la tirò fuori dal sacco «Sono onorata di portarla con me, ma allo stesso tempo terrorizzata al pensiero di perderla o rovinarla. Guarda che bellezza , "La Mazzafrusto della Luce" così si chiama.»
    «Se non sbaglio l'ho vista al museo del Tempio?» affermò Sheila
    «Si, me l'ha data la Gran sacerdotessa, mi ha detto di farne buon uso.»
    Hanna ripone con cura l’arma nel borsone, alzò lo sguardo e guardando l’orizzonte intravvide la foresta in lontananza. Arrivati ai margini Sheila la guardò incuriosita, non aveva mai visto una foresta di quel tipo, composta da alberi da lei sconosciuti . Benvenuta nella Foresta Della Strega le disse Hanna.
    «Ma dai , la foresta della strega, che fantasia.» disse sarcastica Sheila
    «Dicono che ci vivi veramente una strega qui, così potente da rianimare i morti.»
    «Una tipa allegra a quanto pare.»
    Hanna alla frase di Sheila accennò un sorriso, contraccam-biato poi dall’amica . Appena inoltrati decisero di accamparsi per la notte. Dopo aver recuperato un po’di legna nei dintorni accesero un fuoco e subito Hanna ci mise la zuppa a scaldare.
    Sheila , che al tempio ha mangiato quasi sempre la zuppa chiese all’amica il perché di tanta adorazione per quella pietanza.
    «Hai qualcosa contro la zuppa? Io adoro la zuppa. » le rispose immediatamente.
    «Magari domani andiamo a caccia e ci procuriamo qualcosa di solido da mettere sotto i denti.» terminò Sheila
    «Come ti pare , ma stasera ci mangiamo la zuppa…» all’ improvviso si bloccò , aveva sentito un rumore nel bosco. «Shhhh.. C'è qualcosa nella foresta» da un cespuglio però uscì un procione che alla vista del ragazze scappò a gambe levate.
    «Era solo un procione.»
    «Mi mangerei anche quello .» disse Sheila affamata.
    Hanna versò un po’ di zuppa su una ciotola , la porse a Shei-la e le disse «Dormiremo a turno, una di noi deve starà di guardia.»
    «Se per caso un procione ci attaccasse, che paura!» replicò Sheila facendola innervosire .
    «Tu non hai idea di cosa possa esserci nella foresta di notte, lupi, orsi e persino qualche bracconiere.»
    «Afferrato il concetto, comincerò io la guardia.» assaggiando la zuppa pensò che tutto sommato era buona.
    All’improvviso si udì un altro rumore dal bosco, questa volta più nitido «C'è qualcuno, ora l'ho sentito anch'io.» affermò Sheila.
    Le ragazze, appoggiate le ciotole di zuppa per terra, si alza-rono in piedi e armi in pugno si prepararono ad accogliere chiunque sbucasse da quei cespugli . Dal buio della foresta sbucò fuori un uomo, anzi un omino che alla vista delle ragazze armate imprecò
    «Ehhi Ehii!! Tranquille , abbassate le armi. Il mio nome è Godrin , nano guerriero delle montagne del nord.»
    Hanna ,non abituata agli stranieri tanto più agli uomini, gli chiese con tono secco cosa volesse.
    «Ho visto un fuoco e mi sono detto, perché non cercare un po' di compagnia, magari posso condividere questi bei coni-glietti.» alzando la mano destra mostrò con orgoglio le sue due prede.
    «Conigli! Buoni, per me va bene se si unisce a noi.» affermò Sheila pensando che finalmente si mangerà qualcosa di diverso dalla zuppa. Ma Hanna la smontò subito dicendole che mai uno sconosciuto si unirà al loro focolare.
    «Guardatemi ,sono solo e voi siete in due e a giudicare dalla tua armatura (riferendosi a Hanna) devi essere una Guerriera e dallo stemma dello scudo sei una Chierica , non sbaglio vero?»
    Hanna era stupita che un nano del nord sapesse molto sulle Chieriche mentre Sheila borbottò tra se sul fatto che solo lei non conosceva le “Guerriere Chieriche".
    Hanna però l’aveva sentita «Hai detto qualcosa Sheila?»
    «No niente di importante, io …. mi mangio la zuppa» Men-tre si chinò a prendere la ciotola si udirono altri rumori. Hanna dunque chiese a Godrin se fosse venuto da solo .
    Il nano diventò serio , afferrò il manico della sua ascia a due mani e scrutando la foresta rispose di essere da solo. Vide nella penombra qualcuno in avvicinamento così avvertì le ragazze di stare in allerta poiché potrebbero essere banditi o bracconieri.. Erano sei uomini, armi ancora nei propri foderi ,in avvicinamento. Uno di loro ,apparentemente il capo , osservò il nano e le ragazze poi con spavalderia disse « Vedo che è già pronta la cena ?»
    Hanna lo bloccò subito e con voce decisa , vedendo che si avvicinava al pentolone della zuppa, lo intimo di allontanarsi mostrandogli la mazza ferrata.
    Ma l’uomo per nulla impaurito «Che caratterino la tipa, sai io e i miei amici abbiamo fame e qui c’è la cena e il dopo cena. C'è solo un intruso, anzi un mezzo intruso.» Gli altri uomini si misero a ridere per compiacere il loro capo.
    A Godrin non piacque quella definizione dunque minaccio-so «Vi do quindici secondi per portare via di qui le vostre chiappe! (poi riferendosi alle ragazze) Scusate per il linguaggio signore.»
    Sheila prontamente gli rispose «Non preoccuparti, non siamo troppo schizzinose.»
    Il capo replicò al nano «Ehi piccolino, perché non ti alzi quando minacci la gente, opss... scusa non avevo visto che eri già in piedi.» si girò compiaciuto verso i compagni che pron-tamente si fecero un'altra risata.
    Non fece a tempo di rigirarsi che venne colpito da un sasso in pieno volto lanciato da Hanna con la fionda. Il colpo fu tal-mente forte e preciso che cadde a terra tramortito, poi si guardò attorno e rivolgendosi ai suoi uomini « Cosa fate ancora li impalati ! Dategli una lezione!»
    Le ragazze fecero un passo verso i cinque ma il nano con un gesto della mano le fermò «Lasciate che mi diverta per primo.» e si mise tra le ragazze e i bracconieri. Due uomini andarono incontro al nano a spade sguainate ma prima che se ne rendessero conto con agilità e velocità Godrin gli tagliò ,con l'ascia, la cintura dei pantaloni ad entrambi.
    Sheila vedendo i due con i pantaloni abbassati si voltò schi-fata.
    Mentre i due tentarono di aggiustarsi i pantaloni, gli altri tre estraevano le spade dai foderi e si gettarono a capofitto contro il nano.
    Il primo affondò la spada , il nano la schivò e gli diede un calcio sbilanciandolo, poi con il manico dell'ascia lo colpì sulla testa facendolo stramazzare a terra. Il secondo sferrò l'attacco, il nano lo fermò con l'ascia che però si incastrò nella spada, il terzo ne approfittò tentando un affondo al corpo di Godrin. Li intervenne con destrezza Hanna che con un colpo di mazza chiodata lo colpì alla mano disarmandolo, poi lo colpì al volto con lo scudo.
    In quel momento il capo si rialzò da terra, prese l'arco da dietro la schiena e mentre stava per colpire Godrin, con potenza Sheila lo colpì con il bastone prima alle gambe facendolo cadere poi con un' altro colpo lo disarmò presentandoli il bastone sulla faccia «Ora prendete i vostri culi flaccidi e andatevene , prima che i miei amici si arrabbino sul serio!»
    L’uomo ,ormai ferito nell'onore, battuto da una ragazza con voce tremolante le disse «Ok.. Emm.. Calmati ora, ce ne an-diamo.»
    I bracconieri presero i feriti e si dileguarono alla svelta mentre i tre ancora con l’adrenalina a mille gli guardarono andarsene.
    «Wow... La ragazzina ha le palle, beh.., è un modo di dire.» disse Godrin compiaciuto e fiero per aver combattuto al fianco di due donne simili.
    «Che ne dici Hanna? (aggiunse Sheila mostrandosi fiera della sua azione) Qualcosa ho imparato.»
    «Direi proprio di si . Dai finiamo la zuppa. E tu Gotr... Co-me ti chiami?»
    «Godrin , mi chiamo Godrin(scandito).»
    «Buon lavoro! Se vuoi gradire?» gli indicò con la mano il pentolone di zuppa. In quello stesso istante la pancia di Godrin cominciò a borbottare dalla fame , i tre si guardarono e dopo un po’ di silenzio scoppiarono in una risata liberatoria.
    Come detto i tre mangiarono la zuppa e poi Godrin cucinò anche i conigli, attorno al focolare ognuno raccontò la propria storia prima di coricarsi .
    Hanna che era stata di guardia per ultima quando giunse l’alba si avvicinò a Sheila e parlandole sottovoce la svegliò .Ma Sheila non voleva saperne di svegliarsi e borbottò dime-nandosi. Così Hanna le diede uno scossone e alzando un po’ la voce «Dobbiamo muoversi prima che si svegli!»
    Sheila alzò la testa e guardando nella direzione che aveva segnato Hanna le chiese «Perché partiamo senza di lui? Mi era simpatico il nano.»
    «Non vorrai che ci portiamo dietro un uomo.»
    Sheila la guardò un po’ perplessa «Ma la tua repulsione verso gli uomini è dovuta a che cosa?»
    «A cosa ! Hai visto i tizi di ieri sera, sporchi puzzolenti e stupidi.»
    «Forse hai ragione. Però il nano potrebbe esserci d'aiuto, sa combattere.»
    Hanna vide Godrin dimenarsi così incitò l’amica a muoversi. Tutta intorpidita per aver dormito all’aperto Sheila, per la fretta, fece cadere del pentolame svegliando così Godrin «Ohh. . Per le vette del picchio solitario, ho dormito più del dovuto.» vedendo le ragazze già pronte per partire « Heii!! Non pensavate di partire senza di me?»
    «Voglio essere sincera , si partiamo senza di te.» rispose de-cisa Hanna.
    «Ma Hanna non pensi che..» Sheila cercò di farle cambiare idea ma Hanna con un deciso no salì a cavallo e con un cenno invitò Sheila a fare lo stesso , dunque si diressero verso la foresta. Godrin vedendo la direzione che avevano imboccato si mise a sghignazzare e disse «Ohh.Ohh!! Vi addentrate nella foresta della strega? Ma ci siete mai state ?»
    «Non ascoltarlo e andiamo.» disse Hanna
    «Molta gente vi è entrata e non ne è più uscita. Ma se volete correre il rischio andate pure.» insisteva Godrin.
    «Forse dovrebbe venire con noi.» disse Sheila preoccupata.
    «No! Dai sbrigati!»
    Sheila si mise con il cavallo davanti a Hanna «Ho capito sai come si mette , Sheila fai cosi , Sheila vieni qua ; be!! Così proprio non va , anch'io ho il diritto di dire la mia! »
    Hanna cercò di giustificarsi «Io lo faccio per proteggerti, non per altro.»
    «Non l'ho chiesto io di proteggermi.»
    «Ok ! Vuoi che venga con noi? Si ma una sola condizione , farà quello che dico io. Intesi?» disse Hanna voltandosi verso Godrin che puntualmente rispose
    «Per me sta bene. Però ora mi seguite , conosco questa foresta come le mie tasche.»
    Si inoltrarono nella foresta , non era un posto molto acco-gliente , la vegetazione era sempre più fitta e la luce faticava un bel po’ a farsi strada tra i rami. Si respirava un’aria strana , sarà la suggestione per il fatto che ci abitava una strega ma alle ragazze quel posto dava i brividi.
    Due ore più tardi Hanna cominciò a dubitare che Godrin sa-pesse il fatto suo quindi gli chiese «Hei tu ! Di qua ci siamo già passati. Hai sentito nano?»
    Godrin che era dieci metri avanti con il suo cavallo , nano anche quello naturalmente, non rispose e fece finta di niente, così Sheila «Mi sa che hai ragione , non lo vedo più tanto sicuro di se. Vado a sentire !» si avvicinò a Godrin, lo guardò , lui si voltò e a sua volta incrociò lo sguardo di Sheila, poi a voce bassa le confidò «Lo ammetto è la seconda volta che vengo in questa foresta e la prima ero accompagnato da una guida .»
    «Cosa !! Cosaa... Ci hai mentito, ed io che mi sono esposta per te.» voltandosi verso l'amica «Hanna, il nostro piccolo amico si è perso.»
    Hanna si fermò all’istante senza dire una parola con lo sguardo fisso in un punto . Godrin guardò prima Hanna poi Sheila e le chiese cosa le sia preso. Sheila pensava che forse era un modo per controllare i nervi. Hanna sfilò da una sacca un piccolo sacchetto contenente una polvere gialla e recitò una formula magica "Quaerentes platea". In contemporanea alla formula magica aprì il sacchetto e fece uscire un po’ di polvere. In un primo momento la polvere restò sospesa in aria, poi prese una direzione precisa formando un raggio di luce che Hanna, dopo aver risistemato il sacchetto, seguì senza indugiare e senza dire una parola. I due un po’ sbalorditi per quello che videro, prima si guardarono perplessi ma poi la seguirono.
    Venti minuti più tardi Sheila si avvicinò ad Hanna, la guardò titubante e le chiese «Ma quel giochetto di prima , era un ..» Hanna la interruppe subito
    « Non era un giochetto, ma una incantesimo. Non l'avevo mai fatto prima d'ora, ma sono sicura che funzioni.»
    Godrin intervenne «Hei ! Guardate la, (indicò con un dito) c'è una casa.»
    «Hai visto che funziona.» disse Hanna, stupita anche lei .
    I tre si avvicinarono alla casa, la tipica casa dispersa nella foresta, sembrava disabitata da quanto era decadente. Sheila la osservò per bene poi esclamò «Sembra proprio la casa della strega.»
    Godrin le rispose «Malconcia è malconcia.» scese da caval-lo, si avvicinò al porticato e sbirciò da una finestra «Sembra che non ci sia nessuno.»
    «Prova bussare.» gli disse Sheila.
    Così fece e bussò per ben tre volte .Anche Sheila scese da cavallo, assicurò sia il suo che quello di Godrin alla staccionata e si avvicinò anch'essa alla casa. Appena aperta la porta due corvi sbucarono fuori di colpo sfiorando di poco i due. Sheila dallo spavento cadde a terra, imbarazzata si rialzò e precisò che era solo inciampata.
    Entrati ,Godrin e Sheila si resero subito conto che non era una casa comune, era tetra ,disordinata , piena di oggetti inu-suali ai tre. L' ipotesi di Sheila che fosse la casa della strega prendeva sempre più corpo.
    «Che mi venga un colpo guarda che roba, ho letto delle stre-ghe solo nei libri. Guarda il calderone per le pozioni magiche .» commentava Sheila incuriosita da tante chincaglierie.
    «Tutte cianfrusaglie di scarso valore e gusto, scommetto che di commestibile non c'è niente. Che schifo!» Godrin vide sul tavolo un grosso topo, aperto in due e privato degli organi interni «Appunto, di commestibile neanche l’ombra.»
    Anche Hanna entrò in casa , molto più cauta dei due, si guardò attorno e avvertendo un brivido lungo la schiena escla-mò « Per i discepoli di Sall! Qui si pratica la magia nera!»
    Sheila e Godrin si guardarono come a dire : eccola che rico-mincia .
    «Forse è meglio che ce ne andiamo da qui.» consigliò Hanna
    Proprio in quel momento entrò Victoria, la padrona di casa, una giovane donna molto bella ma alquanto vestita e truccata in modo poco consono «Anche perché questa è casa mia! Chi siete e cosa ci fate qui?»
    Sheila imbarazzata per la situazione fu la prima a parlare «Hemm... scusaci per l'intrusione, si pensava fosse disabitata.» si avvicinò alla donna e le porse la mano in segno di saluto « Mi presento, io sono Sheila.»
    Ma lei tirò dritto, si tolse il cappotto nero e lo appoggiò su una sedia mentre Sheila continua ugualmente con le presenta-zioni indicandoli con la mano «Lei è Hanna e lui è Godrin.»
    Victoria infastidita rispose «Un nano in casa mia , penso sia la prima volta. » poi con la coda dell'occhio vide Hanna che faceva dei strani movimenti con la mano e con la bocca « Non azzardarti!!» impugno la bacchetta magica e gliela puntò addosso. Godrin aveva già le mani sull'ascia pronto a intervenire.
    «Non osare lanciare magie di protezione o quant'altro in casa mia, senza essere stata invitata tra l'altro , discepola di chissà che dio o divinità!»
    Sheila decise di intervenire prontamente per calmare gli animi «Heii.. calmiamoci ora! Metti giù quella bacchetta e tu Hanna rilassati. Siamo partiti col piede sbagliato.»
    Hanna decisa replicò «Dunque, noi ce ne andiamo adesso, (fissando Victoria negli occhi) è stato un piacere.»
    Anche Godrin era d’accordo «Si è una buona idea andiamo-cene, qui c'è puzza di topo marcio.»
    Sheila incredula del comportamento dei due «Ma con voi non ci si può ragionare! (poi con tono pacato si rivolse alla ra-gazza) Devi scusarli, non hanno un bel carattere. Ci siamo persi ,se ci dai delle indicazioni te ne saremo grati.»
    La ragazza la guardò un po’ sbalordita, era l'unica dei tre che la trattava come una persona normale, di solito streghe e stregoni non sono visti di buon’occhio dalla gente comune, ma Sheila era priva di pregiudizi in tal senso.
    «Tu mi piaci, loro per niente . Dove siete diretti?»
    «A Greenwood .»
    Victoria dunque aprì un cassetto, lo rovistò un po’, poi tirò fuori un' oggetto che porse a Sheila « Tieni , segui sempre l'o-vest.»
    La ragazza lo guardò un po’ perplessa chiedendosi cosa fos-se quel marchingegno.
    «Non dirmi che non l'hai mai vista! Si chiama bussola e ser-ve per orientarsi. Come ti ho detto, segui l'ovest, vedi qui (le indicò il punto sulla bussola) e uscirete dalla foresta.»
    Sheila ringraziò , uscì dalla casa e mentre stava per salire a cavallo Victoria la bloccò «Hei, aspetta ! Sono dieci scudi per la bussola.»
    «Dieci scudi , per questa !!»
    «Volete uscire dalla foresta o no?»
    «Ecco prendi. A proposito qual' è il tuo nome?»
    «Victoria, questo è il mio nome (guardando in faccia Hanna) . Buon viaggio.»
    I tre partirono ma solo Sheila la salutò per bene , Godrin ac-cennò qualcosa che sembra più un verso di un animale che al-tro, Hanna incrociò lo sguardo di Victoria e niente più. Se-guendo la bussola uscirono finalmente dalla foresta e dopo due ore di viaggio arrivarono alle porte di Greenwood, la capitale.
    A presto con il quarto capitolo:Una proposta allettante

    Foresta+Elfica+-+highforest2
     
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