Aura Aetas

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    Capitolo 1: nascita
    Cos'è l'uomo?
    Sono duemila anni che questa semplice domanda ci ossessiona.
    Da quando esiste l’uomo, le persone si sono poste questo interrogativo.
    Alcuni definiscono l'essere umano come un complesso animale sociale.
    Per altri, più romantici, è un dio caduto, oppure la razza prediletta dal fato.
    Eppure, per chi si divincola nelle infinite vie della ragione queste supposizioni sono vane o superficiali.
    Le domande più semplici sono le più spaventose, per chi riesce a aumentare a dismisura il proprio sapere, riuscendo a districare i misteri della natura e dell'uomo.
    Chi siamo?, da dove veniamo?, qual è la nostra natura?
    Erano decenni che queste domande rimbombavano nella mente del dottor Ebus.
    Era rimasto lì, su quella vecchia sedia, davanti alla scrivania.
    Oramai ogni attività era cessata.
    Non c’era più bisogno di tracciare grafici o approfondire idee o concetti.
    Il silenzio della notte era interrotto solo dal ticchettio dell'orologio, che adesso segnava le due del mattino.
    Lo scienziato restava lì, immobile.
    Le mani incrociate sotto il mento, gli occhi coperti dalle lenti opache, ora persi sul suo obbiettivo.
    Era strano pensare che la risposta a quelle tre, irrisolvibili domande, ora si trovasse proprio davanti a lui, insieme a tutti gli interrogativi della razza umana; insieme a esse la conoscenza suprema, forse la soluzione a ogni problema.
    Il frutto di anni di lavoro, di conoscenze infinite e di enormi finanziamenti.
    Figurava come un'arca cubica per metà d'oro e per metà di vetro.
    Al suo interno si poteva notare un liquido color acquamarina, che interrompeva il buio con una leggiadra luce artificiale, proiettata dal basso. Una figura giaceva sul fondo, confondendosi con le linee sfumate del fluido color cobalto.
    Il pallore del corpo era ammantato di azzurro, che ne celava e proteggeva le forme, come un’intangibile guardiano.
    Quella che poteva sembrare semplicemente una preziosa bacheca, era in realtà un altare; un'ara dedicata al progresso della razza umana, che ora si apprestava a elevarsi al pari delle divinità.
    Erano passati dodici anni da quando Ebus aveva avuto quella visione scellerata.
    Era una di quelle idee quasi irrealizzabili, ma allo stesso capaci, se portate a termine, di riscrivere le regole del creato.
    L'uomo ricordava ancora di quando si mise una mano sul cuore, recitando il giuramento sacro agli dei, le stesse divinità che ormai ignoravano il dolore della sua gente; una sofferenza che il saggio si era già accollata da tempo.
    La confederazione dei Tuscàni, la sua amata patria era divorata da problemi e lui, tra tanti falsi eroi aveva trovato la soluzione.
    Ovviamente non si era limitato a raggiungere un obbiettivo così semplice.
    Le dodici città alleate erano società ristrette, talvolta stagnanti.
    Ebus non era interessato a compiere una così minima impresa.
    Lui era un uomo ambizioso, anzi, era molto di più. Lui era un uomo determinato a trovare la verità.
    Le stesse città che componevano la coalizione avevano finanziato quel laboratorio al meglio, dotandolo del miglior personale, e del migliore equipaggiamento.
    Un genio del suo calibro, con tutti quegli aiuti poteva cancellare gli errori di un passato di guerre e distruzioni ingiustificate.
    Salvare una nazione, anche la propria patria, non era nulla rispetto a quella superba visione di armonia.
    Il dottore si rendeva conto che i tempi erano maturi, e già pregustava la gloria.
    Per la prima volta, dopo un intero decennio dedicato al raggiungimento della divina conoscenza, un brivido ben poco sacro gli percorreva la testa.
    Di colpo si alzò dalla sedia, spolverando la corta tunica color carbone, ancora coperta dalla polvere dei gessi, usati per tracciare i grafici e gli schemi.
    Voleva dare un'occhiata all'arca, controllando che il suo contenuto fosse totalmente tranquillo, come le altre volte.
    I suoi passi rimbombarono lenti nell'oscurità tinta di blu, mentre i lineamenti rigidi e la corta barba venivano pian piano illuminati dal bagliore azzurro.
    Passò una mano sul vetro dell'ara, che ora si era leggermente appannato.
    Aveva ripetuto talmente tante volte quel gesto che ormai i suoi guanti bianchi si stavano ingrigendo per l’umidità.
    La condensa si diradò, palesando la meraviglia che aveva creato. I suoi occhi sembrarono risplendere nell’oscurità della stanza.
    Quel saggio non aveva generato qualcosa di semplice e effimero.
    Aveva infatti riformato ciò che è eterno e immortale.
    Aveva dato alla luce un'idea e l'aveva cinta di carne e sangue. I profondi occhi gialli dell’uomo sembravano brillare, riflettendosi sulle spesse lenti a mezzaluna.
    ''Oh uomo, conosci te stesso e conoscerai l'universo e gli dei''
    Sussurrò Ebus, mentre un leggero sorriso piegava le sue labbra.
    L'idea che il dottore aveva concepito ora riposava sul fondo della teca, vestita di umana sembianza.
    I suoi occhi erano chiusi e ammantati dal liquido indaco, in cui i capelli neri volteggiavano, come spinti da una leggiadra brezza.
    La pelle perlacea risplendeva della luce, percorsa da impercettibili fremiti.
    L'inguine e il petto si contraevano al ritmo dei respiri, testimoni dell'ermafroditismo dell’essere. Un respiratore era avvinghiato alle sue labbra, guidandone i respiri regolari.
    Ciò che Ebus aveva generato altro non era che l'apoteosi di ciò che poteva essere definito umano.
    Ciò che sembrava un semplice fanciullo dalle forme androgine era la perfetta coesistenza dei contrari.
    Idee, informazioni e conoscenze di un'intera specie erano fuse in un’esistenza umana.
    Uomo e donna, madre e padre, creatrice e distruttore, ma riuniti in una sola persona.
    A pensare cosa aveva ideato, la mente di Ebus veniva colpita da un brivido di puro piacere.
    Non importava più il costo del progetto, non importava quanti anni c'erano voluti.
    ''Sei bellissimo''
    Riconobbe il sapiente, che come al solito restava stregato dalla sua superba creazione.
    L’uomo aguzzò la vista, accorgendosi di una particolarità che a prima vista apparì tanto insignificante da essere imputabile alla rarefazione del liquido.
    Il fanciullo stava infatti cominciando a contrarre i muscoli pettorali, e a piegarsi leggerissimamente in avanti, distendendo convulsamente le spalle.
    Un brivido freddo attraversò la fronte del dottore, mentre il battito del suo cuore cominciava a scandire gli attimi, all'unisono con il ticchettio dell'orologio.
    ''Che sia l'ora?''
    Si domandò Ebus tra sé e sé.
    Il saggio arrancò nel buio, controllando il battito cardiaco del giovane.
    Appoggiò l'orecchio alla teca, facendo ricadere i corti capelli neri sul vetro.
    I battiti erano accelerati in modo impressionante e rimbombavano sulla superficie trasparente.
    L'uomo controllò una seconda volta l'interno dell'arca, mentre il suo respiro affannato riecheggiava nelle tenebre.
    L'androgino aveva cambiato drasticamente i suoi movimenti.
    Ora sembrava quasi annaspare.
    Le dita affusolate giravano e brancolavano convulsamente, avvinghiandosi ai tubi, e rischiando addirittura di strapparli via.
    Il professore contemplò la vasca, sbalordito.
    Un progetto fondamentale per la storia dell'uomo rischiava di fallire per colpa sua.
    Non poteva tollerare in alcun modo che una simile rivoluzione abortisse.
    Il dottore non aspettò altro, si chinò, raggiungendo la parte inferiore della teca, battendo forte sulla superficie dorata.
    Un acutissimo suono di sirena infranse il silenzio.
    Una luce gelida squarciò le tenebre, mentre il giovane continuava a dimenarsi, ora in modo convulso e caotico. Agitava le mani, cercando di strappare via il respiratore che gli permetteva di respirare.
    I cavi e tubi si ritirarono nei loro loculi con sibili e fruscii, staccandosi dalla pelle del giovane.
    L'allarme imperversò ancora, rimbombando per le stanze silenziose dell'istituto di ricerca.
    Il liquido azzurro defluì rapidamente.
    La parte superiore dell'arca si aprì, lasciando scoperta la vasca al suo interno e librando uno sbuffo color cobalto.
    Il sapiente si chiese se in una notte così bella, così serena, ma allo stesso tempo così anonima dovevano cambiare le cose.
    L'allarme cessò.
    Il silenzio calò di nuovo.
    Tutto si bloccò per alcuni momenti, come se il tempo si fosse fermato.
    Un suono calmo e candido si pronunciò per alcuni effimeri momenti, prima di essere coperto da un cigolio.
    Ebus si voltò, rendendosi conto che quel suono metallico era stato prodotto dalla porta della sala.
    Un uomo vestito con una lunga toga bianca entrò per osservare la scena.
    Un'espressione sbigottita si era tinta sul volto rugoso, contaminando gli stanchi occhi grigi.
    Il dottore, ancora bloccato nella morsa dell'ansia si voltò,
    incontrando lo sguardo del suo collega.
    Nessuno dei due aveva il coraggio di dire niente.
    Il silenzio venne interrotto di nuovo da un suono metallico.
    L'arca, ora rigata da lunghe gocce di umidità, cominciò a fremere, per poi aprirsi totalmente, come un fiore di vetro e oro. I quadranti che formavano quel cubo perfetto cedettero, cadendo e infrangendosi sul pavimento.
    Uno sbuffo di vapore invase la stanza, soffiando come un serpente impazzito.
    Ebus scattò verso ciò che rimaneva dell’ara, cercando con gli occhi la sagoma della sua creazione.
    Ignorò il vapore incandescente che gli schizzava in faccia, trattenendo a stento un grido di dolore e serrando gli occhi.
    La nebbia si diradò piano, lasciando libera la sua vista.
    Ciò che vide in seguito lo terrorizzò, stroncando ogni sua speranza.
    Il corpo di suo ''figlio'' giaceva su ciò che rimaneva dell’arca.
    Le mani del dottore cominciarono a tremare.
    Pensare che erano rimaste fredde e dure come il ghiaccio, da quando aveva messo piede in quel centro di ricerca.
    Il calore, che gli aveva ustionato la guancia destra non bastò a scaldare il sudore gelido che gli imperlava la fronte.
    Carezzò il volto della sua creatura, come ultimo saluto.
    Quel viso angelico rimaneva fermo, inviolato anche nella morte.
    Le palpebre rimanevano chiuse. Lo sarebbero restate per sempre.
    Il saggio si voltò di colpo, portandosi una mano umida alla fronte, trattenendo a stento un urlo di dolore e frustrazione.
    Dieci anni di lavoro andati in fumo, sfumati nel niente di un colossale fallimento. L’uomo si strinse il volto, mentre tutto si inabissava nel silenzio.
    Un sibilo interruppe la sua sofferenza.
    Ebus si voltò di colpo, incontrando la visione più bella che il mondo aveva saputo donargli.
    La pelle lattea di suo figlio palpitava, animata dal sangue che circolava, facendogli inarcare il petto e i larghi fianchi.
    Le spalle, le mani e i piedi si muovevano istintivamente con i suoi primi gesti.
    Le labbra rosee si aprivano e chiudevano, con la cadenza dei respiri spezzati.
    Ebus ispirò forte l'aria, densa di odore di chimico e vapore torrido.
    I respiri dell’androgino si fecero più decisi, mentre le spalle si incurvavano con veemenza.
    Ebus si rese testimone dell'evento che avrebbe cambiato le cose.
    Il primo essere umano artificiale aprì gli occhi.
    Il suo creatore quasi sobbalzò.
    Quelle iridi erano più simili a quelle di un dio che a quelle di un uomo.
    Erano di un verde profondo come l'oceano, screziati da lunghe linee di un oro più vivido di quello che componeva l'arca.
    Il professore alzò lo sguardo, guardando in volto del suo anziano collega, che si era limitato a fissare la scena sbigottito e tremante.
    ''Le cose sono cambiate, direi che la confederazione può essere avvisata ora... Pretendo un comunicato, che sia annunciata la riuscita del progetto''
    Finalmente poteva dire quelle parole, e annunciare la sua vittoria, la vittoria del genere umano.
    Una trionfo cantato con una splendida sinfonia di respiri e affanni di una nuova vita.
    Una vita che decretava la fine di un’epoca e un nuovo inizio.
    Passò gli occhi sulla figura distesa sui resti della sua preziosa incubatrice.
    ''Benvenuto Attis''
    Mormorò l'uomo, mentre il suo sguardo si specchiava negli occhi di colui che avrebbe portato la luce del domani.
     
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    Il mito di Frankenstein riveduto e corretto ai giorni nostri. L'ho trovato veramente molto bello e ho apprezzato la raffinata ricerca dei tanti vocaboli che la nostra lingua ci offre. Un'unica domanda... ma gli dei in minuscolo sono una peculiarità voluta o una semplice dimenticanza? ^_^
     
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    Mi piace, l'unica cosa che ho notato è che insisti troppo sul liquido in cui è immersa la creatura... secondo me andrebbe nominato un po' meno... :)
     
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    CITAZIONE (mokina @ 9/3/2015, 13:34) 
    Il mito di Frankenstein riveduto e corretto ai giorni nostri. L'ho trovato veramente molto bello e ho apprezzato la raffinata ricerca dei tanti vocaboli che la nostra lingua ci offre. Un'unica domanda... ma gli dei in minuscolo sono una peculiarità voluta o una semplice dimenticanza? ^_^

    Ho paura di deluderti ma frankestein non c'entra :P XD
    Comunque grazie, e si gli DEI sono voluti :)

    CITAZIONE (chloe.r @ 9/3/2015, 13:49) 
    Mi piace, l'unica cosa che ho notato è che insisti troppo sul liquido in cui è immersa la creatura... secondo me andrebbe nominato un po' meno... :)

    Forse quello si...
    Grazie comunque ^^
     
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    CITAZIONE (Libertus1998 @ 9/3/2015, 14:35) 
    CITAZIONE (mokina @ 9/3/2015, 13:34) 
    Il mito di Frankenstein riveduto e corretto ai giorni nostri. L'ho trovato veramente molto bello e ho apprezzato la raffinata ricerca dei tanti vocaboli che la nostra lingua ci offre. Un'unica domanda... ma gli dei in minuscolo sono una peculiarità voluta o una semplice dimenticanza? ^_^

    Ho paura di deluderti ma frankestein non c'entra :P XD
    Comunque grazie, e si gli DEI sono voluti :)

    Non sono delusa, aspetto il seguito ^_^ e per gli Dei/dei, un pò lo avevo intuito ... :yep:
    Però devo ancora far combaciare questo bello scritto ai tuoi commenti sulla presentazione.
     
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    Ecco... una cosa... li posto tutti in un post i capitoli o diversi capitoli per diversi posts?
     
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